Flowers Food, la compagnia che produce pane con un gioco di parole (flower, fiore, in inglese si pronuncia simile a flour, farina) sembra voler scendere sotto i 10$. E che succede sotto i 10$? Quello che scrivevo in questo post:
Flowers Food mantiene una buona posizione finanziaria, con flussi di cassa ed utili sempre positivi. Qualche acquisizione mirata lungo il cammino, e la continua creazione di nuovi prodotti. Ne hanno davvero tanti, e quelli premium continuano a crescere.
A me piace, l'azienda. Il pane che fanno, quel parallellepipedo che va tanto di moda nei paesi anglofoni, molto meno. E' ovvio che da qui a 10 anni, bisogna aspettarsi margini in contrazione, il settore è molto competitivo. Per questo motivo comprarla al prezzo giusto è fondamentale. L'errore più grande fatto da questa azienda sono state le acquisizioni, in termini di prezzo pagato, non di strategia di mercato. In special modo l'ultima, Simple Mills.
Il dividendo è al limite, con un payout del 100%. Se l'azienda inizia a fare più utili, potrà mantenerlo ed incrementarlo, ed ha tutto l'interesse a farlo. Il dividendo è il principale motivo del crollo del prezzo dell'azione degli ultimi anni, ma io ho un presentimento positivo.
Se c'è una cosa che la gente difficilmente smetterà di mangiare, è il pane. Anche se il consumo è in calo negli ultimi anni, è di fatto per un aumento di cibo processato (un'altra forma con cui vendere carboidrati) e per consumo di pane "speciale" (senza glutine, coi cereali, etc.) che è molto più costoso. Se c'è una crisi poi, molti consumi si sposteranno proprio sui prodotti di base (latte uova pane farine), tralasciando carne, pesce e piatti pronti. Durante la crisi del 2008 infatti, Flowers Food non ha subito tragici collassi degli utili:
Insomma, mi aspetto stagnazione del fatturato per questa azienda per i prossimi 3-5 anni, ma appena superato il periodo e ridotto il debito, il mercato se ne accorgerà riportandola almeno a 20$. Nel frattempo, si incassano interessanti cedole.
E a voi, che ve ne pare?
Saluti
Ivano
Ciao Ivano,
RispondiEliminasono andato a recuperare qualche info su Simmple Mills, acquisita tra gennaio e febbraio 2025 da Flowers food, per 795 mil. Usd. Al momento della fusione, l'acquirente dichiarava un fatturato 2024 pari a 240 mil. Usd per Simple Mills.
Il compratore riportava ricavi 2024 per 5.1 billions.
Loperazione è avvenuta interamente a debito, ho verificato i conti TTM aggiornati a settembre 2025, i debiti totali sono aumentati di un ammontare pari all'esborso per l'acquisizione in parola.
Per fare economie in termini di liquidità, hanno diminuito l'entità del buyback e però, forse sperando di farla franca con il mercato, hanno confermato la politica di distribuzione dei dividendo che, come già segnalavi tu, è particolarmente remunerativa.
Ho considerato le azioni che effettivamente andranno a dividendo, ho scalato dal FCF l'ammontare destinato alla distribuzione, con quel che resta, immaginando di sospendere del tutto i futuri buyback, ci vorranno 7 esercizi per riportare il debito a dove stava prima di gennaio 2025.
Prima di comprare, il debito di Flowers food era al 96% rispetto al patrimonio netto, ora è al 149%.
L' acquisizione è avvenuta ad un multiplo del 3.3X rispetto ai ricavi dichiarati, visto che Simple Mills non era quotata in borsa.
Caricando i ricavi di Simple Mills su quelli di Flowers food,
e adoperando le stesse metriche di valutazione,
un ipotetico compratore sborserebbe più di 17 billions Usd.
Per ora, capitalizza 2.266 billions.
Se, da qui a Natale e oltre, non vedrete comparire questo soggetto generoso, molto probabilmente era stata generosa Flowers food a inizio anno.
Che dire,
chi volesse entrare sulla compagnia,
oltre a valutare i prezzi ribassati,
- dovrebbe avere pazienza per almeno 7 anni,
- auspicare forti sinergie post acquisizione, in modo che attraverso i nuovi canali distributivi, i ricavi per i prodotti a marchio Simple Mills fruttino molto di più di 240 mil. Usd
- augurarsi che il management di Flowers food, prima di imbarcarsi in ulteriori acquisizioni con simili modalità, punti a smaltire i postumi di quella appena fatta.
L'azienda in questione ha un FCF yield (dati TTM) del 14,34%;
se il management volesse aderire alle filosofie value investing, trattenendo buona parte degli utili e contrattando meglio in acquisto, riuscirebbe a fare, con la sola cassa, acquisizioni di una certa portata ogni 3 anni.
Attendo i dati definitivi 2025, che arriveranno verso gennaio/febbraio 2026.
Un caro saluto raggiunga tutti.
Moris
É da tempo che mi torna in mente un tuo messaggio, datato lunedì 26 maggio 2025 ore 15:08:00:
RispondiElimina"Io più guardo gli ETF e più mi rendo conto di capirli non abbastanza. Lascio ad altri l'onere".
Forse l'ho inteso come un' opinione generale, forse mi sbaglio ed in realtà ti riferivi a una categoria particolare di ETF, ad esempio gli obbligazionari.
Dico comunque la mia sull'argomento:
Per chi é molto ferrato sul value investing e sulla lettura dei bilanci, il mondo degli ETF può sembrare "poco interessante".
Però va considerato il quadro generale.
Oggi, per un investitore "dummies" (come me che purtroppo me ne sono interessato tardi...) o semplicemente per chi non ha voglia, tempo o capacità di analizzare singole aziende, avere il core del portafoglio in ETF indicizzati è spesso la scelta più sensata.
Non servono competenze da analista: gli ETF sono più facili da capire dei bilanci aziendali. Investi in un paniere di migliaia di società e lasci che il mercato faccia il suo lavoro.
In più gli indici mediano i prezzi delle aziende, dalle più capitalizzate alle più piccole (si, lo so, il settore più grande dei FTSE o MSCI World è sempre occupato dal tecnologico, ma è meglio un crollo del 40% che un meno 80%) .
Chiaro, non si elimina il rischio ma lo si distribuisce.
E meno rischio significa anche rendimenti più moderati, certo, ma per chi non fa stock picking è comunque una gran soddisfazione poter fare meglio di un conto deposito (o di un fondo pensione) con un approccio semplice come quello di detenere un fondo indicizzato a basso costo.
Se invece ti riferivi agli ETF obbligazionari, beh, condivido la perplessità.
Non vanno usati come se fossero obbligazioni singole.
Un bond ha una scadenza: lo tieni fino alla fine e rientri del capitale.
Un ETF invece è un paniere "perpetuo", sempre esposto ai movimenti dei tassi: nessuna certezza di recuperare il prezzo d’ingresso.
Per questo tali ETF non sostituiscono e non rispecchiano esattamente una scaletta di bond. Con il laddering hai scadenze e capitale certi; con l’ETF sei legato all’andamento dei tassi.
Detto ciò, le capacità di chi fa stock picking in maniera profittevole restano invidiabili.
Saluti a tutti,
Max
Ti dirò, mi riferivo agli ETF in generale. Il concetto è sicuramente facile da comprendere, i costi molto bassi. Le mie perplessità sono:
Elimina1) ce ne sono migliaia, parecchi sono strumenti specifici che alla fine risultano inutili ai fini pratici (e costano molto)
2) dubbi su quanto siano solvibili e rischio emittente (che comunque dovrebbe essere basso)
3) e più importante, oggi mi sembrano un grosso schema Ponzi, che non prendono in considerazione il rischio del mercato. Se ci pensi bene, quando compri un etf, quello per forza di cose deve darti quote di aziende che ad oggi sono molto sopravvalutate. Finchè ci saranno flussi in entrata andrà tutto bene, poi andrà malissimo (come tutte le truffe "ponziane"). Addirittura gli ETF value non sono value. A fronte di PE effettivamente bassi (ma un PE basso non vuol dire sottovalutazione, vedi Organon ad esempio) hanno sempre le maggiori partecipazioni nelle stesse aziende. Ad esempio Amundi MSCI World IMI Value Advanced UCITS ETF (Acc) con ISIN IE000AZV0AS3 ha come principali componenti NVIDIA, Merck, Apple, Cisco, Applied Materials, Citigroup, AT&T, Qualcomm, Verizon, Microsoft Corp. Anche quelle non coinvolte nell'attuale corsa dell'IA non sono value, soprattutto a questi prezzi.
Quindi boh, capisco che per l'investitore retailer sono facili, ma fai due conti. Un ETF world oggi è investito al 60% negli USA, e di quel 60% un 40% è delle magnifiche 7 (io questa non la chiamo diversificazione). Con un dividendo medio dell'1,2% per l'SP500, se si tornasse alla media storica del 4,5% significherebbe già un -75%. Insomma con gli ETF non compri valore, ma aumenti di prezzi. Con tutti i rischi conseguenti ad una rivalutazione fondamentale.
Ciao Ivano, sul punto 1) sono d'accordo con te. Credo che almeno l'80% degli ETF (se non di più) siano inutili e costosi. Sul punto 2) per gli ETF a replica fisica non vedo quel problema, dato che il patrimonio del fondo è separato da quello dell'emittente. Per quanto riguarda il punto 3) la questione è molto semplice; un ETF è uno strumento passivo che replica un indice di mercato. Per questo motivo non può prendere in considerazione il rischio di una sopravvalutazione del mercato (che, se esiste, non è certo per colpa dell'ETF).
EliminaGli ETF azionari Value sono pieni di "junk stocks" e sono un investimento che non mi piace. Molto migliori sono gli ETF azionari attivi multi-fattore, anche se neppure loro si discostano di molto dagli indici principali per capitalizzazione.
Per quel che mi riguarda il maggior vantaggio degli ETF è che ti permettono di accedere, a prezzi molto bassi, praticamente a qualsiasi tipo di asset class, altrimenti irraggiungibile per l'investitore medio. E per ogni asset sopravvalutato ne esiste sempre comunque qualche altro a buon prezzo.
Poi, e questa è una cosa positiva, ne continuano ad arrivare di nuovi e interessanti. Su questo tema ho intenzione di scrivere qualcosa prossimamente.
Ciao Ivano,
Elimina1. Verissimo. Ci sono troppi ETF inutili. Ma per un investitore "poco attrezzato" il problema sì riduce a 3-4 strumenti (l' MSCI World, gli Emergenti e, comprendendone il funzionamento, gli obbligazionari). Fortunatamente queste categorie sono tra quelle a minor costo.
2. Il rischio emittente dovrebbe essere basso, da quanto si dice.
E così per la solvibilità, viste le normative UCITS e, come riporta il sito di Amundi, la salvaguardia del patrimonio che avviene "attraverso la separazione delle posizioni del fondo in conti segregati presso una banca depositaria". In pratica la solvibilità dell’emittente non dovrebbe essere coinvolta nel meccanismo, rimane ovviamente il rischio del sottostante.
Non sto dicendo che mi fido ciecamente del sistema, ma questo é quanto dichiarato.
3. Capisco il parallelo con lo schema Ponzi, ma mi sembra esagerato. Gli ETF non richiedono di pagare i vecchi investitori, non promettono guadagni ma detengono asset reali che producono utili reali (quelli a Replica Fisica). Quindi non creano valore dal nulla perché il sottostante é produttivo.
Sugli ETF value dovrei tacere perché non li ho approfonditi ma a pelle non mi interessano perché troppo discrezionali per i miei gusti. A tutti gli effetti stai delegando la scelta ad altri invece di seguire il mercato.
Riguardo all'MSCI World, se il market cap pesa il 60%, è perché l’economia USA vale 60.
Se la Magnifiche 7 pesano così tanto, è perché sono aziende che macinano una gran fetta degli utili globali.
Se crollano, crolla anche un investitore stock picker che le possiede singolarmente.
Quindi il rischio non è l'ETF ma è il mercato USA in questo ciclo. E sicuramente é fonte di preoccupazione.
E va detto che l'ETF non é una soluzione universale.
Questo punto mi ha fatto riflettere più volte: si potrebbe accettare un minor rendimento e investire su un indice equal weighted, ma ciò non risolverebbe la sopravvalutazione del mercato USA.
Grazie a tutti e due per le risposte costruttive. Per il punto 3 di Max, la detenzione di asset è reale, ma l'utile non lo è, nel senso che il prezzo viene dalla promessa di ricavi che al momento sono inesistenti, una vera e propria scommessa. Per questo questi strumenti sono "schemi ponzi": non salgono in base al valore vero, ma ai flussi in entrata. Infatti l'indice si è apprezzato in termini di PE. Un investitore value non deterrebbe nessuna delle magnifiche 7: forse google, apple, o microsoft ma non a questi prezzi.
EliminaBuongiorno a tutti,
RispondiEliminaleggendo in vari forum o gruppi FB di finanza personale, la sensazione che ricavo, quando si scelgono etf su MSCI world, è quella di ricercare un allargamento di orizzonti geografici, distribuendo l'investimento su una miriade di aziende sparpagliate per il globo.
I dubbi emersi nei post che mi precedono sono anche i miei.
L'etf più grande supera i 107 mld Usd di dimensione e, teoricamente, ci rassicura la presenza di oltre 1.300 aziende coinvolte, sparse in giro per il globo.
Approfondendo un minimo, le sicurezze vacillano.
10 paesi soltanto si prendono il 92% della torta, e gli USA sono quasi al 69% .
Peggio ancora, 10 aziende rappresentano il 28% circa dell'esposizione del fondo e almeno in questa fase hanno multipli P/E stellari.
Se non fossero ricomprese in quel contenitore, più di qualcuno esiterebbe a metterci quasi il 30% del proprio ptf.
Non esagero, visto che in tanti commenti, per tranquillizzare gli ultimi arrivati in cerca di info, si raccomanda proprio di essere "prudenti" e iniziare con un PAC su quel tipo di etf.
Non vorrei rilanciare l'UCAS, ufficio complicazioni affari semplici;
per rafforzare il concetto di distribuzione"world", immagino di usare un etf come l'iShares Core MSCI World UCITS ETF USD (Acc) al 55% del ptf.
E affiancare ben 9 etf nazionali, al 5% ciascuno, scelti tra le economie più forti: Giappone, Cina, India, Taiwan, Korea del sud, Australia, Canada, Svizzera, UK.
Il peso totale degli USA scenderebbe al 37% circa e le magnifiche 10 americane andrebbero al 15%.
Risulta meno sbilanciata anche la diversificazione valutaria.
Ogni etf satellite ha le sue magnifiche 10, differenti da quelle made in USA, e in questo schema conterebbero di più.
Certo, serve un broker con un piano commissionale molto favorevole per fare un PAC conveniente su 10 etf.
Mi viene in mente Scalable, dove per molti etf le commissioni sono a zero, ma se ne conoscete altri, per gentilezza, segnalateli.
Il piano replay di fineco, credo sia a €13,95 al mese, fino a 10 ETF.
Per directa, occorre verificare gli etf in promozione, con piani commissionali a zero euro, per vedere quanti sui 10 andrebbero a beneficiarne; per gli altri, fuori promozione, in caso di pac, vedo costi proibitivi.
Un caro saluto.
Moris
L'investimento "perfetto" dovrebbe essere quello su asset che, rivalutandosi nel tempo, siano almeno in grado di coprire l'inflazione, oltre a fornire un rendimento aggiuntivo tale da poter consentire al capitale di aumentare nel tempo. Inoltre l'investimento dovrebbe anche essere facilmente smobilizzabile quando ci servono i soldi e in grado di restituire in ogni momento il capitale più gli interessi maturati.
RispondiEliminaSe prendiamo per vero quanto sopra, possiamo subito dire che l'investimento "perfetto" non esiste, ma possiamo riscontrare diversi gradi di utilità per altrettanti tipi di asset differenti.
Per esempio un conto deposito remunerato non vincolato è sicuramente utile alla maggior parte delle persone per conservare denaro per le emergenze, cioè per quelle spese che si presenteranno nel prossimo futuro. Si ha sempre la certezza che i soldi ci saranno quando servono e che verranno restituiti con gli interessi maturati. Ma lasciare grandi somme di denaro nei conti deposito per tanto tempo è rischioso perchè l'unica certezza è che continueremo a vedere i nostri risparmi distrutti dall'aumento dei prezzi dei beni e servizi che acquistiamo.
Agli antipodi troviamo il mercato azionario, che è sempre stato il luogo ideale in cui investire se si vogliono avere buone probabilità di battere l'aumento dei prezzi sul lungo periodo. E' considerato, a ragione, il posto chiave in cui cercare se si vuole aumentare notevolmente il proprio patrimonio nel tempo. Tuttavia, chiunque abbia visto i grafici dei prezzi dei più importanti indici azionari, saprà quanto possono essere altalenanti i risultati. Il mercato azionario ha visto gli investitori perdere denaro in ben un quarto degli ultimi 25 anni! Quindi, poichè gli investimenti azionari a breve termine sono pieni di rischi, bisogna essere pronti a resistere nel lungo periodo, se necessario. Le migliori ricerche sugli investimenti azionari dimostrano che nemmeno gli orizzonti di cinque o dieci anni propugnati da molti gestori di fondi sono sufficienti per ridurre il rischio di rendimenti deludenti e al di sotto dell'inflazione; è necessario valutare la possibilità di investire in azioni per 20 anni o più.
Nel mezzo di queste due tipologie di investimenti ci stanno gli altri asset tradizionali.
Le obbligazioni sono solitamente la principale asset class più utilizzata. Le obbligazioni hanno sicuramente avuto i loro momenti di gloria, ma attualmente i profitti derivanti dall'investimento in obbligazioni sono stati generalmente bassi e le probabilità di battere l'aumento dei prezzi non sono poi di molto maggiori rispetto ai conti deposito remunerati. Se si decide di investire per periodi lunghi in obbligazioni aspettandosi di ottenere un premio considerevole rispetto all'aumento dei prezzi per aver bloccato il proprio denaro per così tanto tempo, si rischia di rimanere sonoramente scottati. Se si investe invece per periodi più brevi, ad esempio da cinque a dieci anni, si corre il rischio concreto di perdere denaro quando le obbligazioni crollano e i soldi servono. Le montagne russe non sono così violente come quelle del mercato azionario, ma i tempi per tornare in pari sono più lunghi di quelli del mercato azionario. Soprattutto negli ultimi anni le obbligazioni hanno deluso e, come "via di mezzo" sembrano un posto piuttosto brutto dove investire i soldi.
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RispondiEliminaL'oro è l'asset preferito dagli investitori che si fanno prendere dal panico, ma non paga cedole, ha una storia discutibile come riserva di valore e non è nemmeno un modo così affidabile per proteggersi nel breve termine da un improvviso e forte rialzo dell'inflazione. Famosa questa citazione attribuita a Buffett "L'oro viene estratto dal sottosuolo in Africa, o da qualche altra parte. Poi lo fondiamo, scaviamo un'altra buca, lo seppelliamo di nuovo e paghiamo delle persone perché stiano lì a sorvegliarlo. Non ha alcuna utilità. Chiunque lo guardasse da Marte si gratterebbe la testa". Inoltre, l'altalena dei prezzi è altrettanto violenta quanto quella del mercato azionario. Quindi, con l'oro si ottiene molta incertezza e rischio a fronte di una sicurezza a lungo termine molto ridotta. Il profilo rischio-rendimento rispetto al mantenimento a lungo termine di azioni, francamente, è pessimo, e gli investimenti in oro a breve e medio termine rappresentano un rischio enorme a causa della volatilità del suo prezzo.
Gli investimenti immobiliari sono sempre stati la grande passione degli investitori italiani, che lo considerano ancora l'investimento più sicuro per investire i propri risparmi. Eppure, quando la casa viene acquistata come investimento, deve essere valutata con parametri di tipo finanziario. Allora ci accorgiamo che l'investimento richiede grandi capitali, costi di gestione e manutenzione cospicui, è poco liquido e particolarmente tassato. In Italia, mediamente, il rendimento netto è di poco sufficiente a coprire l'inflazione. Non il massimo neanche qui.
Infine le materie prime, il peggior asset in assoluto su cui si possa investire per il lungo periodo. E' vero che performano bene durante le fiammate inflattive, ma i loro prezzi, nel medio periodo, sono estremamente influenzati da fattori difficilmente comprensibili quali domanda e offerta, condizioni climatiche, eventi geopolitici che, nel loro insieme, rendono l'asset molto più volatile delle azioni e con performance medie deludenti nel lungo periodo (ad esempio, perdite reali annuali anche per più anni consecutivi) rispetto ad altre classi di attivi.
Insomma, tra conti deposito remunerati ed azioni sembra non esistere una via di mezzo ampiamente disponibile al pubblico del tutto soddisfacente. In altre parole, non esiste un investimento a sè stante che possa contrastare efficacemente l'inflazione e che solitamente frutti un premio, ma senza i rischi che possano costringerti a impegnare i tuoi soldi per un periodo di tempo molto lungo.
Ecco perchè la diversificazione funziona. Mettendo insieme tra loro, con un giusto mix equilibrato, investimenti sub-ottimali, si riesce ad ottenere l'effetto non solo di preservare il capitale dall'inflazione, ma anche di ottenere rendimenti interessanti in un contesto in continua evoluzione.
In prossimi post parlerò di 4 asset class ancora poco conosciute capaci di colmare questa lacuna intermedia non ben servita dai conti deposito remunerati, dal mercato azionario, dalle obbligazioni, dall'oro o da qualsiasi altro investimento tradizionale. Ritengo si tratti dei 4 asset col migliore rapporto rischio/rendimento in assoluto.
I prestiti garantiti senior (senior secured loans)
RispondiEliminaSono prestiti effettuati da banche o altri istituti finanziari a società con rating inferiore a investment grade che vengono poi sottoscritti da una banca capofila e sindacati, cioè raggruppati insieme, e poi venduti ad altre banche e investitori istituzionali. Vengono emessi da società piuttosto conosciute (con EBITDA medio superiore a 500 milioni di dollari) per finanziare a debito operazioni di fusione, acquisizione e di leveraged buyout. Per questo vengono anche chiamati “leveraged loans”.
Presentano tre caratteristiche principali che li contraddistinguono da altre asset class equiparabili. In primo luogo sono il debito più senior di una società, il che significa che i detentori di tale prestito hanno la priorità più alta nel rivendicare i propri crediti in caso di fallimento del debitore, cioè hanno il diritto di venire pagati prima degli altri finanziatori. In secondo luogo, i prestiti sono garantiti da beni come la liquidità, l'attivo circolante, il magazzino, gli immobili, gli impianti e le attrezzature, i titoli e i beni immateriali. Di conseguenza tali beni possono essere trasferiti ai titolari dei prestiti in caso di fallimento di una società, il che generalmente comporta tassi di recupero più elevati rispetto alle obbligazioni high yield. Dalla loro nascita, in caso di default dell'emittente (comunque basso e storicamente pari al 3%), le banche sono sempre riuscite a recuperare il 100% del loro credito. Infine i senior loans sono emessi con una cedola che garantisce uno spread predeterminato al di sopra di un tasso variabile come il SOFR, il Libor o l'Euribor. Pertanto, quando i tassi salgono, le cedole dei prestiti vengono riviste e forniscono agli investitori pagamenti di rendimenti più elevati. Ciò significa anche che i prestiti hanno una duration prossima allo zero, poiché queste ridefinizioni dei tassi hanno luogo, in genere, con cadenza mensile o trimestrale. Anche se i senior loans hanno durate variabili che vanno dai 5 ai 7 anni, il fatto che il tasso sia variabile elimina buona parte di quell'importante fonte di rischio che affligge le obbligazioni a tasso fisso, cioè la sensibilità del loro prezzo alle fluttuazioni dei tassi di interesse.
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RispondiEliminaI senior loans si sono dimostrati prodotti resilienti attraverso la maggior parte dei cicli di mercato, in quanto tendono a produrre rendimenti positivi anche durante periodi di volatilità dei prezzi (28 anni di rendimenti positivi negli ultimi 31 anni). Inoltre, contrariamente alle percezioni ampiamente diffuse che i prestiti generino solo rendimenti interessanti in ambienti di tassi di aumento, i prestiti senior statunitensi hanno registrato rendimenti totali positivi in 8 anni su 9 quando la FED ha tagliato i tassi. Gli investitori obbligazionari possono pensare di utilizzarli sia per proteggersi dal rialzo dell'inflazione sia come diversificatore di un portafoglio obbligazionario a tasso fisso, aumentandone il rendimento e riducendone la volatilità. Inoltre, proprio per la loro struttura, tendono ad essere poco correlati a qualsiasi altro asset finanziario. Se consideriamo l'investimento per durata, i senior loans tendono ad avere uno dei più elevati Sharpe Ratio tra i prodotti obbligazionari, perchè sono in grado di combinare cedole elevate con variazioni dei prezzi relativamente attenuate a livello aggregato. Nel lungo periodo rendono di più sia dei titoli di Stato con qualsiasi scadenza che delle obbligazioni corporate investment grade e spesso i loro rendimenti tendono ad avvicinarsi molto a quelli degli high yield (debito junior non garantito) o del debito dei paesi emergenti. A volte, come durante la crisi finanziaria del 2008, le valutazioni dei prestiti bancari senior possono però oscillare ed essere piuttosto volatili causa il deterioramento degli spread creditizi.
Purtroppo, causa i rigidi requisiti di liquidità e idoneità imposti dalla regolamentazione europea, non esistono ETF di senior loans conformi alla normativa UCITS. Su eToro è però possibile investire su due ETF di senior loans statunitensi, lo State Street SPDR Blackstone Senior Loan ETF (SRLN) e l’Invesco Senior Loan ETF (BKLN) sopportando però il rischio cambio col dollaro americano.
I CLO (collateralized loan obligation)
RispondiEliminaSono obbligazioni collateralizzate garantite da un paniere di crediti bancari, garantiti a loro volta da asset aziendali e concessi alle imprese con rating inferiore a investment grade di solito operanti nel settore del private equity. La struttura finanziaria del prodotto è piuttosto complessa, ma sostanzialmente funziona così: un gestore del CLO, professionista esperto del mercato del credito, acquista, con il capitale raccolto dagli investitori e attraverso uno Special Purpose Vehicle (SPV) appositamente creato per l’occasione e utilizzato per l’operazione di cartolarizzazione, un portafoglio diversificato di prestiti bancari senior aziendali garantiti (pool di prestiti). Ognuno dei prestiti acquistati facente parte del CLO viene suddiviso in diverse classi o tranches (AAA e AA: tranches senior), (A, BBB e BB: tranches mezzanine o junior), (equity: tranches azionarie senza rating) ciascuna delle quali ha un diverso grado di rischio (e rendimento) ad essa associato. Gli investitori in tranches senior sono i primi ad essere pagati, per capitale ed interessi, seguiti dagli investitori in tranches junior mentre quelli in tranches equity non hanno diritto a cedole, ma solo al pagamento del capitale rimanente dopo aver pagato interamente tutte le tranches superiori. Dunque, nel caso che uno o più prestiti facenti parte del pool vada in default, la tranche AAA, quella in cima, rappresenta la prima in linea di pagamento, mentre l’ultima, la tranche equity, è la prima a subire eventuali perdite, nei rari casi in cui si verificano. Allo scopo di remunerare adeguatamente i detentori del debito più subordinato, il rendimento offerto da ciascuna tranche aumenta man mano che ci si muove verso il fondo della struttura. Il patrimonio della SPV è giuridicamente isolato sia dal rischio di credito della banca originatrice del prestito, sia dal gestore del CLO. In caso di insolvenza dell'originatore o del gestore, i beni all'interno della SPV non possono essere pignorati dai creditori, proteggendo così gli investitori del CLO. Le tranches senior AAA sono le più grandi e rappresentano circa il 65% del CLO, seguite dalle tranches junior e dalle equity. Il manager del CLO ha l’obbligo di gestire tutti i flussi di cassa della SPV, quindi provvede a ricevere tutti i pagamenti degli interessi e del capitale dai mutuatari sottostanti e li distribuisce alle diverse tranches di investitori secondo l’ordine predeterminato visto prima, noto come meccanismo "a cascata". Ogni CLO è costituito da un numero variabile di senior loans garantiti, che può andare da 100 fino anche a 500, molto ben diversificati, anche per durata differente, tra società di diverse dimensioni in settori e aree geografiche diverse allo scopo di generare cash flow stabili e ricorrenti e mitigare ancora di più il rischio di default. Il gestore del CLO provvede inoltre a gestire attivamente il portafoglio diversificato di prestiti, nel tentativo di segnare guadagni e ridurre al minimo le perdite, vendendo i prestiti meno performanti e/o acquistando garanzie aggiuntive durante il periodo di reinvestimento del CLO, che può durare fino a 5 anni.
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RispondiEliminaUn CLO può avere una durata che varia dai 6 ai 10 anni e nel periodo finale del suo ciclo di vita, chiamato periodo di ammortamento, il gestore non può più effettuare operazioni attive, limitandosi solamente a provvedere al rimborso di tutti i debiti in essere, a partire dalle tranches più anziane e alla restituzione del capitale agli investitori, dopodichè il ciclo di vita del CLO termina. Poiché sono sostanzialmente costituiti da un portafoglio diversificato di prestiti aziendali, i CLO presentano le stesse caratteristiche viste per i senior loans, con però la garanzia ulteriore di alta qualità data dal livello di seniority e da clausole covenant e test finanziari che limitano le azioni rischiose del mutuatario e richiedono il rispetto di determinate metriche finanziarie. Per questo motivo rendono un po’ meno dei senior loans, anche se sono l’asset class che ha storicamente offerto una combinazione convincente di rendimento superiore alla media e apprezzamento potenziale, sovraperformando su base corretta per il rischio e per Sharpe Ratio più elevato, molte altre classi di attività di credito; tanto per fare un esempio oggi un CLO AAA europeo rende tanto quanto un titolo di Stato decennale europeo a tasso fisso con rating BBB, ma senza tutti quei fastidiosi alti e bassi del prezzo. E’ stato verificato che l’aggiunta di un 30% di CLO AAA a un tipico portafoglio obbligazionario a tasso fisso a 5 anni, ha aggiunto un rendimento medio annuo pari all’1% e ridotto dell’1% la sua volatilità. Oltre che come diversificatore, possono essere utilizzati anche per integrare la gestione della liquidità con asset ad elevato grado di qualità.
E’ possibile investire nelle tranches senior dei CLO (AAA, AA) attraverso diversi ETF UCITS (potete trovarli su justetf.com sotto la voce Obbligazioni – Strategia obbligazionaria – Derivati su crediti). Personalmente preferisco i CLO europei rispetto a quelli americani sia per evitare il rischio cambio sia perché hanno maggiori protezioni strutturali intrinseche che li rendono meno volatili rispetto ai loro gemelli d’oltreoceano (per esempio - i manager dei CLO europei, a differenza di quelli statunitensi, devono avere una “skin in the game” in via continuativa nel CLO del 5%; - i CLO europei tendono ad avere una maggiore esposizione a prestiti emessi da società europee con rating BB+ e B-, a differenza del rating CCC di quelle americane; - nessun CLO europeo AAA o AA è mai andato in default). Un’ultima informazione: vedendo che i CLO appartengono alla categoria dei prodotti derivati, qualcuno potrebbe spaventarsi ricordando che fine fecero nel 2008 i mutui subprime (altri prodotti strutturati della stessa famiglia dei derivati su crediti). Tuttavia ci sono notevoli differenze tra i due prodotti quanto a rischio di credito: 1) i mutui subprime erano concessi a persone fisiche con storia creditizia discutibile e nessun rating, i CLO sono costituiti da prestiti senior garantiti di aziende con rating creditizio sub investment grade, particolarmente conosciute ed apprezzate dalle banche, tanto da essere molto simili a scoperti garantiti 2) i mutui subprime appartenevano tutti allo stesso settore (real estate), i CLO presentano crediti in 20 – 30 settori diversi 3) il portafoglio di mutui subprime collateralizzato era destinato a rimanere fisso per tutta la durata dell’obbligazione, il portafoglio di prestiti aziendali dei CLO è gestito attivamente da un manager professionista del settore.
I bond catastrofali (catastrophe bonds)
RispondiEliminaI bond catastrofali, più comunemente chiamati Cat Bonds, sono titoli insurance – linked (ILS), ovvero strumenti a reddito fisso emessi da compagnie di assicurazione e riassicurazione allo scopo di trasferire agli investitori l’esposizione derivante da possibili perdite assicurate di grande portata correlate alle catastrofi naturali (inondazioni, alluvioni, cicloni tropicali, tempeste invernali, temporali, grandinate, incendi, terremoti) e ad altri rischi, come attacchi terroristici e cibernetici. In cambio gli investitori ricevono un tasso di interesse, fisso o variabile, derivato dal pagamento dei premi assicurativi e alla scadenza il rimborso del capitale, proprio come avviene con un’obbligazione tradizionale. Sono nati negli anni ’90, quando le compagnie di assicurazione hanno capito che potevano evitare di riassicurare determinati rischi, potendoli scaricare sugli investitori che, a loro volta, erano disponibili ad accollarseli scommettendo che non si sarebbero verificati, in cambio di una remunerazione. Se però l’evento naturale predefinito (evento trigger) si verifica nel determinato periodo di tempo e nei limiti specificati dal contratto, la compagnia di assicurazione utilizzerà la liquidità fornita dai sottoscrittori del bond, in tutto o in parte, per pagare gli indennizzi a fronte delle richieste danni conseguenti l’evento. In questo caso l’investitore può perdere, in toto o in parte, il capitale sottoscritto, in maniera simile a quanto succede nel caso di default dell’emittente di un’obbligazione tradizionale. Il rendimento dei Cat Bonds è piuttosto ondivago, ma in passato è stato negativo solo nel 2022. Comunque sono prodotti considerati meno volatili rispetto alle azioni e alle obbligazioni tradizionali. E’ stato sviluppato un indice specifico, lo Swiss Re Cat Bond Total Return Index, che negli ultimi 10 anni ha raddoppiato il suo valore con una volatilità media del 3,73% rispetto al 7,08% delle obbligazioni investment grade. La caratteristica principale dei Cat Bonds è la bassa correlazione con i mercati finanziari, sia azionari che obbligazionari, in quanto il loro valore dipende esclusivamente da eventi rari che si verificano solo occasionalmente e che sono legati al clima, non a eventi macroeconomici o geopolitici. Il miglior momento per acquistare strumenti del genere è dopo un evento catastrofale, perché i premi si alzano e quindi c’è un recupero più veloce di quelle che sono state le perdite. In un portafoglio funzionano principalmente come efficace diversificatore del rischio, offrendo rendimenti attraenti anche a doppia cifra e volatilità contenuta finchè il mondo rimane relativamente “calmo” rispetto ai rischi specifici assicurati. I Cat Bonds a tasso variabile possono servire anche per coprirsi dall’inflazione, perché le compagnie di assicurazione rivedono meticolosamente i premi su base annuale con i detentori della polizza, in considerazione dell’inflazione esistente e prevista. Oggi i Cat Bonds sono una risposta finanziaria innovativa e in forte espansione alle sfide poste dal cambiamento climatico, con rendimenti legati direttamente alla gestione di tali rischi. La sottoscrizione di un singolo Cat Bond, oltre ad essere improponibile per un investitore privato a causa degli alti tagli minimi, presenta rischi notevoli legati all’incertezza e alla imprevedibilità degli eventi naturali futuri. Per questo motivo l’industria finanziaria si è attivata e si sono affacciati sul mercato alcuni fondi di investimento la cui strategia è quella di investire in maniera diversificata su una pluralità di Cat Bonds, in modo da mitigare il rischio di default legato ad un singolo evento naturale. Il 3/12/2025 si è quotato su Piazza Affari il primo ETF UCITS in Europa a offrire accesso al mercato dei catastrophe bond: il KRC Cat Bond UCITS ETF (ticker: CATB).
Ciao Fabio, ho lanciato una ricerca su google per "senior loan etf". Escono svariate ricorrenze, almeno in Usa sembrano prodotti diffusi. E' possibile che si tratti di strumenti utili ai piani pensionistici? Vedo che il valore delle quote decresce nel tempo e l'entita' delle cedole distribuite e' alta. Sembra che venga restituito capitale oltre a distribuire i proventi periodici derivanti dai prestiti sottostanti. Un caro saluto. Moris
RispondiEliminaCiao Moris, il rendimento totale (total return) di un investimento è dato dal capitale più le cedole distribuite. Se stai guardando il grafico dell'ETF su tradingview, devi adeguare i dati per i dividendi distribuiti cliccando sul pulsante in basso a destra "adg".
EliminaI prestiti peer-to-peer (P2P lending)
RispondiEliminaTra le quattro asset class presentate il P2P lending è sicuramente la più conosciuta, visto che esistono già da diversi anni centinaia di siti internet e una discreta quantità di youtuber parecchio competenti in materia che li recensiscono approfonditamente in modo molto migliore di quello che potrei fare io, quindi rimando a loro per ulteriori approfondimenti sull’argomento. Qui mi limito solo a dire cosa sono: una forma di finanziamento tra privati (persone fisiche o aziende), senza passare attraverso i canali tradizionali del prestito bancario. Le transazioni avvengono attraverso piattaforme online che fungono da intermediari digitali alle quali registrarsi per poter partecipare, italiane ed estere, regolamentate e non regolamentate, specializzate in questo settore. I tassi di interesse percepiti da chi presta denaro sono fissi e generalmente piuttosto elevati, si può andare dal 10% anche fino al 16%, e variano a seconda della piattaforma, del tipo di prestito, della rischiosità e del mercato geografico di residenza del mutuatario. Il p2p lending consente ai prestatori di ottenere molte più informazioni sui progetti di finanziamento, ma impone anche un monitoraggio periodico degli investimenti, insomma non il classico investimento passivo. Questo tipo di prestito infatti non prevede garanzie a protezione del prestatore contro il rischio di fallimento del debitore e per questo è spesso raccomandata una diversificazione degli investimenti, peraltro piuttosto facile da ottenere visto che il capitale minimo per prestito è molto basso e alla portata di tutti (10 euro o poco più). In sintesi, mentre il prestito P2P può offrire rendimenti interessanti, parecchio al di sopra del tasso d’inflazione, in tempi di crescita economica, una recessione potrebbe aumentarne significativamente i rischi e richiedere una maggiore cautela da parte degli investitori, stante il probabile aumento dei tassi di insolvenza dovuto alla crescita della disoccupazione e alle difficoltà economiche diffuse tra i mutuatari. Un altro problema del P2P lending potrebbe essere la mancanza di liquidità rispetto ad altre forme d’investimento, dovuta alla difficoltà di recuperare rapidamente il capitale investito se si ha bisogno di denaro, in mancanza di un efficiente mercato secondario da parte della piattaforma.